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  • Avv. Giorgio Vasi

MOLESTIE SESSUALI: IL PROBLEMA DELLE PROVE

Aggiornamento: 13 nov 2019

La definizione di molestie sessuali ci viene fornita dalla art. 26 Dlgs n. 198/2006 che le identifica in tutti quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante ed offensivo.

Il problema che parte offesa si trova ad affrontare è supportare la propria denuncia con una serie di prove da sottoporre al giudicante.

In campo penale tale onere è più agevole poiché il giudice può condannare il molestatore sulla base delle sole accuse della parte offesa, laddove queste siano credibili rispetto al contesto in cui sono inserite.

Nell’ambito del rapporto di lavoro la parola delle persone molestate non è sufficiente, di per sé, a provare i fatti di causa ma è necessario fornire ulteriori elementi di prova che l’art. 40 del Dlgs n. 198/2006 identifica in elementi di fatto.

Dati statistici relativi alle assunzioni, ai regimi retributivi, all’assegnazione di mansioni e qualifiche , ai trasferimenti sono idonei a fondare in termini precisi e concordanti la presunzione dell’esistenza di atti, fatti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso, e spetta al convenuto l’onere della prova sulla insussistenza della discriminazione e dimostrare che ricorrono circostanze univocamente incompatibili con il significato di molestia e/o discriminazione.

Ulteriori elementi presuntivi delle molestie potrebbero essere, per esempio, tempestivi certificati medici e/o psichiatrici delle vittime di molestie che attestino uno stato psicofisico alterato, racconti resi a familiari ed amici che potranno essere chiamati a testimoniare e a riferire quanto appreso dalla vittima nell’immediatezza del fatto.

La Corte di Cassazione con sentenza 23286 del 15.11.2016 ha equiparato le molestie alle discriminazioni di sesso sancendo la possibilità di usufruire di un regime probatorio incentrato sulle presunzioni e, per effetto, più agevole per chi si trova a denunciare.

Dobbiamo inoltre tener presente la possibilità per la persona oggetto di molestie e discriminazioni di poter adire la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Una recente sentenza della I Sezione della Corte del 02/03/2017, la  n. 41237/2014 ha sanzionato l’Italia per aver omesso di intervenire tempestivamente sulla denuncia presentata da una donna ed in tal modo creando una situazione di impunità che ha favorito il ripetersi di atti di violenza sino al tentativo di omicidio della donna stessa, nonché la morte del figlio. La Corte ha riconosciuto il venir meno da parte delle autorità italiane dell’obbligo di proteggere la vita delle persone interessate.




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